Pochi turisti (ma in crescita), una storia travagliata. Ma il Paese dei Balcani è una sorpresa. E ha una risorsa incredibile: i giovani. Amanti dell’arte e della libertà.
er secoli è stata una terra di conquista da est e da ovest. Un angolo dei Balcani stretto tra Romania e Ucraina, crocevia di razze, lingue, religioni, dove persino i nomi dei luoghi, in più lingue, sono la testimonianza di confini in perenne mutazione. La Moldova ha una storia travagliata. Oggi, a 27 anni dall’indipendenza, è ancora in cerca d’identità: da un lato Mosca, dall’altro Bruxelles; i filorussi e i filoeuropei. Fino al 2016 i dati dell’Organizzazione mondiale del turismo l’hanno collocata tra i Paesi meno visitati del mondo, terzultima dopo il Bangladesh e la Guinea. Eppure, nonostante un territorio spezzettato (al suo interno ci sono la repubblica separatista di Transnistria e la regione autonoma di Gagaùzia) e un’economia tutt’altro che florida (il reddito medio pro capite oscilla dai 50 ai 200 € al mese), la Moldova guarda al futuro. Nuovi investimenti, progetti e l’incremento delle strutture alberghiere l’hanno aperta al turismo (nel 2017 sono state registrate 145.156 presenze, il 20 per cento in più dell’anno precedente). Conosciuta, in passato, come Bessarabia centrale, la Moldova ha molti punti a suo favore: è sicura, vicina (due ore di volo diretto dall’Italia), economica e ha un patrimonio naturale ben conservato (il processo di industrializzazione è ancora lento), oltre a una produzione vinicola di tutto rispetto e una cultura millenaria.
Lo skyline di Chişinău è confuso. Nel centro politico, economico e culturale della Moldova, una delle più grandi città dell’Europa centrale, le nuove architetture convivono con i vecchi edifici di stampo sovietico, in pietra bianca calcarea, e con i pochi palazzi signorili sopravvissuti ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e al terremoto del 1940. In ogni quartiere, i parchi e i viali alberati invitano al passeggio, mentre i boschi si allargano attorno ai palazzi. I monumenti più emblematici della città ne raccontano invece la storia, con la cattedrale ortodossa e l’Arco di Trionfo, dedicato alla vittoria della Russia sull’impero ottomano. Uno dei più bei palazzi di Chişinău, in stile barocco-viennese, è il museo nazionale d’arte, che raccoglie un’importante collezione di icone ortodosse e di dipinti di pittori europei e moldavi, anche contemporanei. Per scoprire la vita e le tradizioni del posto, invece, è d’obbligo una tappa al mercato centrale, un tempo mercato kolchoziano, dedicato, cioè, alle cooperative agricole nelle quali i contadini lavoravano collettivamente la terra. Si trova a pochi passi dal centro città, dove sorgono boutique hotel (Zentrum e Thomas Albert) e ristoranti, come Propaganda, che uniscono alla buona cucina atmosfere ricercate. Bancarelle e spazi coperti ospitano i prodotti freschi della campagna, in bella mostra accanto a bluse e scialli a punto croce ricamati dalle donne dei villaggi.
Colline coperte di vigne, monasteri nascosti nella roccia, villaggi sparpagliati nella campagna e i colori che cambiano a ogni stagione. Fuori dalle città la Moldova racconta la propria anima rurale, un mondo a parte dove la schiettezza ruvida degli abitanti si trasforma nel tempo di un sorriso in ospitalità premurosa. La stessa che offre Ludmilla Buzila nel suo agriturismo Casa Verde, parte di un progetto di ospitalità diffusa che unisce i villaggi di Butuceni e Trebujeni nel recupero di abitazioni e civiltà contadina. I villaggi si stendono ai piedi della falesia calcarea con fossili di conchiglie dove, scavato nella roccia, si trova il monastero rupestre di Pestera. Sotto, corre il canyon lungo il fiume Raut e, tutt’intorno, Orhei Vechi, riserva naturale con i resti di civiltà antichissime insediatesi qui fin dal Paleolitico superiore. Il paesaggio è un susseguirsi di boschi di faggio, ciliegi, acacie, di colline e campi coltivati e la riserva è nella lista dei siti candidati a diventare patrimonio Unesco. Ma è soprattutto attraverso la gente e le storie di chi, attento alle proprie radici, fa rivivere la terra a cui appartiene che la Moldova si rivela. A Hogineşti, un villaggio fondato nel XVII secolo con un’importante storia di artigianato della ceramica, Vassilii Goncear ha rivisitato il sapere di famiglia, dopo una laurea in ingegneria e molti anni trascorsi sulla Costiera Amalfitana, creando un laboratorio, un negozio e un piccolo museo dedicato alla storia della ceramica locale in cui accoglie turisti e apprendisti che vogliono imparare il suo mestiere. Mentre Ecaterina Popescu ha dato vita, a Clişova Noua, a un centro di artigianato, Rustic Art, dedicato alla tessitura a mano dei tappeti della Bessarabia.
Nel villaggio di Palanca, nel cuore rurale della Moldova (qui c’è ancora chi si sposta su carretti di legno trasportati dai cavalli), Casa Parinteasca (la “casa dei genitori”), tra colline e boschi, è l’abitazione di famiglia di Tatiana Popa, 75 anni, dolce quanto tenace sostenitrice del turismo rurale. La sua dimora, confiscata dai russi ai tempi delle deportazioni nei gulag, oggi è aperta ai turisti e offre una cucina che rimane impressa nella memoria. Il pasto inizia con una degustazione di composte di frutta, petali di rosa, liquori, per poi passare ai piatti tipici della gastronomia moldava, dove trionfano i prodotti della terra, rigorosamente biologici: la mamaliga, polenta di mais con formaggio e panna acida, i sarmale (involtini) fatti con foglie di vite ripiene di riso bollito e carne, l’acqua ai fiori di acacia e il vino della casa.
Si chiama Transnistria ed è una striscia di terra lungo il confine con l’Ucraina, abitata da poco più di mezzo milione di persone. Ha un governo indipendente, una propria moneta, un esercito, un inno nazionale e tre severi posti di blocco che rilasciano un permesso di sole dieci ore. Guai a perderlo, perché di fatto la Transnistria non esiste. Il governo ha chiesto invano l’annessione alla Russia; neppure le Nazioni Unite riconoscono ufficialmente questa repubblica autoproclamatasi indipendente. I finanziamenti arrivano dal Cremlino e i segni dell’influenza russa sono ovunque. A fianco della bandiera transnistriana compare sempre quella russa e a Tiraspol, la capitale, ci sono carri armati lungo le strade, la polizia porta le divise sovietiche e i simboli ricorrenti sono la falce e il martello. Sheriff, il gruppo privato più grande del Paese che appartiene all’ex presidente Oleg Smirnov, amministra pompe di benzina, supermercati e l’enorme stadio FC Sheriff con 18.500 posti e quattro campi. Palazzoni squadrati di stampo sovietico si alternano a piccole case di legno, ci sono un lungofiume per il passeggio, un’importante distilleria di brandy (la Kvnit) e un allevamento di storioni (Aquatir) che esporta caviale in tutto il mondo. All’ingresso del Paese, la cittadina di Bender ospita una fortezza medievale e la fabbrica di munizioni e armamenti militari di proprietà del governo della Transnistria che è la fonte principale di reddito del Paese. Orgogliosi delle loro radici, i transnistriani sono abituati a vivere in una terra “fantasma”, ma molti studenti, grazie al passaporto moldavo, scelgono di studiare a Chişinau. Per rimanere nell’eurozona e assaporare il gusto della libertà.
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